Cosa sia la bellezza forse non lo sappiamo, ma sul brutto sembriamo tutti avere le idee chiare e la vicenda della unconventional model scelta da Gucci, ne è la prova

Bellézza Qualità di ciò che appare o è ritenuto bello ai sensi e all’anima. La connessione tra l’idea di bello e quella di bene, suggerita dalla radice etimologica (il latino bellus “bello” è diminutivo di una forma antica di bonus “buono”), rinvia alla concezione della b. come ordine, armonia e proporzione delle parti, che trovò piena espressione nella filosofia greca. In seguito, la nozione di b. è diventata categoria autonoma, caratterizzata dalla capacità del bello di essere percepito dai sensi.
FONTE TRECCANI

Definire la bellezza non è comunque semplice, perché ogni epoca ha i suoi canoni ma, quel che è disarmonico, quello resta brutto o almeno così credevamo fino all’affaire Armine Harutyunyan
La giovane modella armena è stata letteralmente messa alla gogna non tanto dalle bruttine che finalmente avevano la loro eroina, ma da quelle che fino al quel momento si erano sentite fighe.

Armine quindi rovescia gli standard della bellezza sferrando così un attacco mortale al business della Fabbrica dell’Insoddisfazione?

Prima di cercare una risposta alla domanda, forse converrebbe provare a guardarci dentro. Davvero non ci piacciamo come siamo? Io non lo credo, forse è qualcosa che ha a che fare con il mondo là fuori e non con il nostro intimo qui dentro.

Siamo tutte insoddisfatte del nostro aspetto fisico, perché è così che ci vuole il mercato.

Tutte insoddisfatte, tutte a correr dietro ai nuovi standard di bellezza e stile, che ogni decennio ne salta fuori uno nuovo al quale uniformarsi e chi di noi resta al palo è fottuta. Oggi però una donna oggettivamente brutta ruba la scena a tutte le miracolate della lotteria genetica, fitness e cosmesi e ci illudiamo qualcosa sia finalmente cambiato.
Prima di istituire la Giornata Internazionale della Racchia, facciamo due conti e torniamo indietro di qualche decennio.
I conti: Il mercato della bellezza in Italia ha avuto nel 2019 un incremento del 2,8%, mentre l’export va ancora meglio con una crescita del 4,5%.

Le nostre insicurezze valgono 11,7 miliardi di Euro

Ed ora facciamo un breve riassunto dell’evoluzione degli stereotipi della bellezza:

Anni ’20   Flapper Girls dai corpi androgini. Capello corto, disinibite, fumatrici e bevitrici al pari degli uomini. Tette piccole e fianchi stretti e addio pure al concetto di maternità. Tutte a dieta!

Anni ’30   Marlene Dietrich, fianchi e seno generosi, ci riporta alla sensualità della carne e ci tocca mettere su qualche chiletto.

Anni ’40   C’è la guerra ed il mondo a noi donne chiede indipendenza. Siamo noi che tiriamo avanti la famiglia, mentre i nostri uomini sono a combattere al fronte. Nel 1943 il Ministero dell’Informazione Britannico, in piena Seconda Guerra Mondiale, pubblica un opuscolo intitolato Make Do and Mend. Le stoffe, come molti altri beni, sono razionate e bisogna fare del riciclo dei vecchi capi una nuova moda.
Dieta e fitness non sono richiesti, perché tanto si sgobba come muli e non c’è niente da mangiare.

Anni ’50   La guerra è finita, evviva! Si ricomincia a vivere, e a mangiare possibilmente tutti i giorni, e noi donne torniamo morbide e formose a ribadire il concetto che la carestia è finita. Sophia Loren e la Lollobrigida, sono bellissime strizzate in quegli abiti da popolane o da regine.

Anni ’60   Maledetta Twiggy e la sua minigonna, che ci tocca tutte stare a stecchetto per poterla indossare con dignità. È lei è la nuova icona di stile e bellezza. Minuta e senza forme, modernissima nel suo taglio di capelli alla maschietta. Twiggy, che significa sottile in onore alla sua magrezza, è stata la prima vera supermodel e a noi comuni mortali tocca rimetterci a dieta.

Anni ’70   La rivoluzione culturale femminile ci vuole tutte toniche e atletiche. Tutte Charlies’ Angels. Tutte a dieta e a farci un mazzo così in palestra.

Anni ’80   Arrivano le supermodel. Sono inumane, inutile parlarne. La Fabbrica dell’Insoddisfazione entra definitivamente nel suo periodo migliore. Siamo tutte dei cessi a pedali se paragonate alla Evangelisti o alla Crawford. Tocca rimediare e comprare creme e iscriversi in palestra e dilapidare l’eredità del nonno dall’estetista.

Anni ’90   Essere anoressiche è di moda, almeno fino al ricovero in ospedale, e Kate Moss è la nuova icona da imitare. Quello che risparmiamo in cibo, lo spendiamo in antidepressivi.

Anni ’00 e qui mi fermo   Dee dai corpi scolpiti e donne mortali infelici. Jennifer Lopez si assicura il culo per 300 milioni di dollari. Il mondo fa schifo, nel caso non ve ne foste accorti.

Le mode sembrerebbero essere delle macchine che producono insoddisfazione e che, costringendoci ad assomigliare ai loro prodotti, generano profitto.

Armine con le sue sopracciglia a cespuglio ed il suo naso adunco, sembrerebbe riuscire dove altre non sono riuscite, ma è anche questo un inganno perché anche questa è manipolazione. Si chiama dissonanza cognitiva. Compensiamo il disagio che proviamo modificando il nostro sentire. Penso che Armine sia brutta ma dirò che è bellissima così com’è, e intanto Gucci ringrazia. 

In questo frangente il politically correct si presta al marketing, obbligandoci a negare l’ovvio per poter essere come il mercato ancora una volta ci vuole.

Ci hanno detto tutto e il contrario di tutto perché, ci vogliono perennemente insoddisfatte, perennemente con la carta di credito in mano.

Sono la Principessa Astronauta e sono fortunata che l’unica cosa che indosso è la mia tuta spaziale. Quando la sfilo, osservo il mio corpo e aggiorno la conta dei difetti.
Se mi va li correggo. Se non mi va me li tengo 
perché, i miei difetti sono unici come unica sono io riflessa in quello specchio.

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