Non tutti gli amori riescono bene e ad un certo punto ci si stanca a rammendare buchi e cucire toppe. Tanto vale comprare un vestito nuovo, pensava. Connessa al suo social preferito, cercava di zuccherare l’amaro del primo Natale del distanziamento universale.

“Che rottura di palle il mondo. A 20 anni credi che il primo che ti porti a letto sarà tuo per sempre e a 40 che potresti scoparti un intero reggimento ma, se l’amore ancora non l’hai trovato, allora non avrai più tempo”.
“Tempo scaduto!” sentenzia urlando che i suoi vicini la possano sentire senza aver bisogno di origliare.
Vorrebbe ridere forte che quelli mentre mangiano il panettone, la pensano aggrovigliata in qualche giochino porco con un amore rimediato di rapina nell’uscita consentita per andare al supermercato.
Osserva le sue gambe allungate sul bracciolo del divano. È bella e lo sa e lo sa tutto il palazzo. È bella e lo sanno tutti e lo sa la grassa portinaia sudamericana che la rimprovera con lo sguardo buono di una madre che, l’unica figlia l’ha lasciata a 13 ore e 22 minuti da Milano Malpensa scali esclusi.

Questo fottuto virus ha cancellato i nostri corpi ed io di vivere come se fossi il fantasma dell’opera, mi sono stancata…

Senza corpo, senza il corpo dell’altro da potersi strofinare addosso come con un asciugamano per tamponare gli umori bagnati. Lo dice tra sé e intanto pensa all’ultima volta che l’ha fatto. Amore o sesso non ha importanza, non cambia il senso se cambi una parola. Cambia solo il sentimento, ma a quello a volte ci si può rinunciare.

L’ultima estate sembra un miraggio in questo tempo congelato. Una fata Morgana di calore sui pavimenti arroventati di quella piccola cittadina a sud di Lisbona. Era salita al forte per poter vedere l’oceano fino a dove il suo sguardo poteva arrivare. Lui era già lì, un altro di quelli che viaggiano soli per digerire qualcosa che deve essere per forza andato male. 
Anna ci pensa, ma il nome non se lo ricorda proprio. Finlandese, H qualcosa e poi pieno di k e versi gutturali. Non importa come si sono agganciati, importa quel letto nella casa con le ringhiere arzigogolate.
H qualcosa aveva occhi azzurrissimi su capelli neri che gli arrivavano quasi alla spalla, e che gli davano lo sguardo ferocemente idiota di un cane husky. Avevano scopato senza dire una parola, con la furia di chi non si ama, con la rabbia di chi si è già dimenticato dell’altro. Troppo alto per il suo metro e sessanta, che l’aveva sollevata per le ginocchia per poter entrare e il peso di lui la schiacciava. L’aveva morso per istinto di sopravvivenza, lui aveva urlato qualcosa pieno di k e l’aveva girata. 
Uno sculaccione ben assestato aveva sbriciolato l’aria. “Figlio di puttana…non sono io quella che t’ha spezzato il cuore…non sarò io ad aggiustarlo…”

Almeno nevicasse zucchero a velo potrei mettere fuori la mia fetta di pandoro avanzata per addolcirmi la serata…

Troppo dolente questa notte di Natale per accendere la tv e cercare un film da guardare. Troppo dolore quest’anno, per un coro sotto un albero scintillante.
Anna prende il suo smartphone, che di accendere il suo portatile non se ne parla.

Vorrebbe resistere, ma la solitudine è un tarlo che ti scava le budella per arrivare dritta a spezzarti l’anima

L’icona di Messanger notifica che ha dei messaggi. Tre non letti, tocca rimediare.
“Saranno i soliti auguri dei miei amici senza dio per il santo Natale” ride.
“Anche a te e famiglia…che palle..le solite frasi fatte, le solite stronzate istituzionali…”
Mentre risponde svogliata, compare lui in un banner che sembra un lampo e la fa sobbalzare.

Ciao Miss Pallino Verde. Non hai una vita fuori da qui, che sei sempre online?

Se non fosse lui, un altro l’avrebbe scannato per quel nomignolo che le ha appiccicato.
Miss Pallino Verde come se fosse un semaforo a regolamentare il traffico di chi va e di chi può invece restare.
Qualcuno pensa che i social funzionino un po’ come i bordelli ad Amsterdam. Luce verde sei disponibile e si può chattare, con la non trascurabile differenza che di quello che è gratis non ne puoi abusare.
Anna nemmeno sa il suo nome e neppure la sua faccia, ma sono mesi che chattano per ore che quasi se lo immagina.
Apa Chiricahua non può essere certo un nome iscritto all’anagrafe, a meno che sua madre fosse una squaw.
A meno che l’avesse voluto punire subito appena nato, per chiarirgli su che razza di pianeta di merda era atterrato. A meno che fosse straordinariamente pazza.

Ciao Apa, no non ho niente di meglio da fare. Tu, invece? sei online perché hai già finito tutti i cowboy da scuoiare?

L’emoji della faccina che ride con le lacrime è la risposta, ma alla fine è intrigante chattare con un estraneo e soprattutto non ha nominato il Natale.
La solitudine può essere una trappola anche se la vivi in digitale. Basta non andare oltre il lecito, pensa Anna.
“Perché una donna come te è sola la sera di Natale?” le chiede e la domanda arriva dritta al petto come una fucilata che si sente il fetore della polvere da sparo.
“Come me cosa? Affascinante? Sexy? Bona, intelligente e colta…ho dimenticato qualcosa? Sì, ho dimenticato che di te invece io non so un cazzo” risponde con un ringhio da gatta arrabbiata.
“Sapevo che non avresti risposto alla mia domanda, ma non importa perché allora stanotte farai qualcosa per me”
Ad Anna le tremano le dita, che quasi le cade lo smartphone. Il lecito è un confine senza dogana.
“Vai in bagno Anna, spogliati davanti allo specchio e mandami uno scatto”
Non può essere che lui le stia chiedendo questo, ma non protesta perché quell’ordine la sta già frugando dentro. Come un automa esegue, scopre il seno bianco punteggiato di piccole efelidi che sembrano stelle in orbita su due pianeti perfettamente allineati.
Anna si osserva penetrando dentro il suo stesso sguardo, in una trance erotica che le chiazza le guance di sangue. 
Scatta. Invio. Andata. Nessuna risposta. Nessun contatto. 
Le sale il panico, forse è lì a ridere di lei e delle sue debolezze di donna senza da troppo tempo un uomo accanto.
Distoglie lo sguardo dallo schermo del suo iPhone, solleva il capo ed uno strillo soffocato a stento le rompe il fiato.
Un uomo con uno smartphone tenuto insieme da un grosso pezzo di nastro argentato, la fissa dallo specchio del bagno. Anna si volta di botto che quasi cade, ma non c’è nessuno dietro di lei.
L’uomo la fissa profondo, lei lo osserva paralizzata. 
È nudo fin dove lo consente la cornice dello specchio. I capelli bagnati tirati indietro che sgocciolano a far brillare la peluria su un corpo da dio greco. Sulle braccia dei tatuaggi che sembrano simboli tribali.
Immobile come un guerriero imprigionato in una statua di cera, non muove un muscolo, nessun respiro a gonfiare l’addome, nessun battito di ciglia a spezzare l’incantesimo del suo sguardo.
Anna si avvicina allo specchio, prova a toccarlo. L’immagine è fissa come una foto che ha catturato un istante.
“Apa? Sei tu? Rispondimi, ti prego” sussurra.
Mentre lo dice, le viene in mente una storia che le raccontava suo nonno quando guardavano insieme i vecchi western alla tv. 
I nativi americani non si facevano fotografare, convinti che replicare la loro immagine avrebbe rubato loro l’anima. 

Se fosse vero, allora l’immagine nello specchio è la foto della sua anima

Appoggia le sue mani che ancora tremano sullo specchio per trascinarlo fuori da lì. L’immagine svanisce, Anna gratta con le unghie il vetro per tentare di estirparlo. Con tutte le sue forze cerca di cavarlo da là dentro, di farlo uscire dalla trappola che gli ha rubato l’anima.

L’immagine svanisce, resta solo lei nello specchio, nuda con gli occhi gonfi di lacrime. 
Cerca il suo iPhone caduto a terra nella follia di quegli istanti. La scocca si è crepata scoprendo la batteria, ma il telefono funziona ancora. Lo lascia com’è, adesso non ci vuole pensare.
Torna in salotto e si nasconde sotto la coperta sul divano sfinita di paura e rimpianto.

È la mattina di Natale, la sveglia il suo iPhone squilla. Di Apa non resta nulla.
Spegne la sveglia e guarda il suo cellulare. Un grosso pezzo di nastro argentato lo tiene insieme.
Forse non ha sognato.

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