Ci sono diversi modi di viaggiare per un disperso perché lo spazio è infinito, ma nel caso dovesse finire, c’è l’infinita fantasia che quella nessuno ce la può occupare. C’è l’infinita fantasia e ci sono pure gli aerei, che da qualche anno fanno di me un’aspirante berlinese part time.

A Berlino ci sono arrivata sempre e solo per amore, la prima volta nel 1988 che c’era ancora il muro e per andarci a Berlino ci voleva il passaporto perché attraversavi comunque la DDR.

Ci andai per amore, un amore vero di quelli che durano tutta la vita: la musica.

Ero una cantante metal underground, la prima in Italia e una delle prime in Europa, una specie di sottoprodotto della subcultura perché in Italia probabilmente eravamo ancora meno pronti a questo che altrove. In pratica in Italia la quota rosa in quel mondo di maschi capelloni tatuati vestiti in pelle sessisti e pure un po’ stronzi, ero io. Una band berlinese mi chiese di unirmi a loro, così presi ben due aerei e ci andai.

Arrivai la prima volta a Berlino che il muro era ancora lì malgrado “Ich bin ein Berliner” di JF Kennedy nel 1963 e il “Mr. Gorbaciov, tear down this wall” invocato nel 1987 dal presidente Ronald Regan.

Frasi da lettere d’amore spedite al mondo da Berlino per Berlino dai potenti della terra. Era solo questione di tempo e il tempo di vedere il muro io l’ho avuto.

L’ho visto il Mauer correre lungo la città come una cicatrice purulenta che reclama una cura.

Con la band berlinese andò male, la loro musica era un mix letale tra la musica heavy metal più ignorante e un folk campagnolo con i fiori sul cappello di paglia. Quattro accordi fatti male che peggio sarebbe stato impossibile neanche impegnandosi tanto. Volevo scappare da Torino la grigia verso la colorata Berlino, questo era il piano ma così era troppo da sopportare pure una transfuga disorganizzata come me.

Dissi no, ma intanto quella città mi aveva preso l’anima e io ero innamorata.

La cura per quella cicatrice che tagliava in due la città, arrivò il 9 novembre 1989. Arrivò il chirurgo a tagliare quella cancrena, per poter finalmente far posto a pelle nuova e io a Berlino ci tornai che il muro era appena caduto.

Una fiera di case discografiche indipendenti e stavolta ci andai in treno, che quante ore non lo ricordo che devo averlo rimosso. Dormivo in un ostello nella parte est della città.
Un lettino in ferro che sembrava un cimelio da ospedale psichiatrico e una finestra che dava su un cortile pieno di macerie che sembrava i bombardamenti alleati non fossero mai cessati. Nel cortile una Trabant azzurrina, lasciata lì con il cofano spalancato come una bocca piena di stupore.

Ero a Berlino est, una Berlino che non esisteva più.

La notte giravo sola in quella eccitante desolazione alla ricerca degli show cases delle band nelle case occupate. Ero di nuovo innamorata pazza di questa città, ma dovevo tornare a Stoccarda dove un amore in piercing ed ossa mi aspettava.

La vita ti cambia anche se non vuoi e io non volevo, ma mi accucciai docile docile per molti anni per poi un giorno alzarmi di scatto ad azzannarla alla gola.

Berlino già sapeva che prima o poi sarebbe successo e mi aveva aspettata, anche se intanto lei era cambiata. Dopo 25 anni ci sono tornata e ci sono tornata di nuovo per amore, questa volta per l’amore di un uomo. Sono a Berlino, sulla S-Bahn e lui è lì seduto davanti a me. Certi amori però sono difficili da ammaestrare, perché sfuggono ad ogni regola che il sangue arriva al cuore che è già fango.

Tornerai a Berlino, mi dice guardando fuori dal finestrino che vedo i suoi occhi riflessi nel vetro farsi severi.

Tornerai a Berlino anche se non per me, perché ormai ti è entrata dentro e non puoi più guarire.

Vorrei dirgli che invece è solo per lui che voglio tornare, ma intanto Berlino scorre veloce ed io ingoio lacrime per non dover ingoiare orgoglio. Anche lui a Berlino ci è arrivato per amore. Ci è arrivato per amore del sogno punk e l’amore di una ragazza conosciuta in uno squat.

Ha viaggiato tanto che ha lo sguardo di chi ha visto tutto e tutto ha provato ma senza medaglie sul petto che a lui non importano.

Ha viaggiato e vissuto più di quanto io potrò mai fare per la vita che mi avanza, ma è sempre tornato perché Berlino è una donna che cambia guardaroba ogni stagione per sorprenderti e per farti incazzare perché non è mai la stessa e fai fatica a riconoscerla da un anno all’altro.

Ti fa incazzare da urlare, ma è bella di una bellezza struggente arrotolata negli stracci dei suoi disperati e negli abiti alternative chic dei suoi artisti. Bella di lacrime come se ancora si sentisse gridare al di là di quel muro che non esiste più.

Meraviglia di cieli bassi che le nuvole che si specchiano nei suoi canali, ti sembra di poterle toccare. Nuda di notte che Berlino è desiderio, che il suo corpo appartiene a tutti quelli che se la vogliono scopare. Ti lascia sfinita ed è malinconia perché, il suo letto ti strappa il cuore a doverlo lasciare.  

Torno a Torino dopo un mese e la mia cassetta delle lettere è piena da scoppiare. C’è una cartolina con un disegno di orsi che ballano sullo skyline di Berlino. Me la giro tra le mani prima di leggerla per poterla accarezzare.

“Tornerai a Berlino…”.

Sono la Principessa Astronauta e di Berlino oggi mi resta la fame di lei,

che spinge quelli come me a tornare per poterci perdere nel suo sogno ancora. Dispersa tra altri dispersi da tutto il mondo, ci sfioriamo senza mai toccarci camminando sui ciottoli delle sue strade. Sono la Principessa Astronauta e sono allunata nella città degli eterni ritorni. Ve la racconterò bene e mentre aspetto di tornare, le scrivo che l’amo per non farmi dimenticare.

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